Risposta art. Corriere della Sera del 06-04-1995

Link all’articolo presso il sito de “Il Corriere della Sera”
RTICOLO ORIGINALE:
Corriere della Sera – 06 aprile 1995 —   pagina 49
http://archiviostorico.corriere.it/1995/aprile/06/Manette_bis_per_Andrea_Rossi_co_0_9504062501.shtml
Manette bis per Andrea Rossi
La Procura di Ariano Irpino accusa l’ inventore del ” refluo petrolio ” di riciclaggio di denaro sporco. Ricercato il corriere della banda che avrebbe trasferito con furgoni blindati oltre 2 tonnellate d’ oro
MONZA. Se finora ha creduto di essere nei guai si e’ sbagliato. Andrea Rossi, inventore del chiacchierato procedimento per trasformare in petrolio la spazzatura e i rifiuti industriali, e’ molto piu’ che in semplici guai. Di tutte le “tegole” che gli sono piovute addosso finora, la piu’ pesante e’ arrivata ieri dalla Procura di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. Il giudice delle indagini preliminari Vincenzo Caputo ha emesso, su richiesta del sostituto Rosario Baglioni, un’ ordinanza di custodia cautelare contro di lui per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di capitali di illecita provenienza e alla frode fiscale. La presunta organizzazione a delinquere sarebbe formata, oltre che dall’ ideatore del “refluo petrolio” e da una persona per ora irreperibile, anche da Michele Pizzato, italiano con residenza in Svizzera, uomo di fiducia di Andrea Rossi e, negli ultimi tempi, suo compagno di “sventura”. Una sventura cominciata un paio di settimane fa con le conclusioni di una inchiesta condotta dal sostituto procuratore monzese Salvatore Bellomo. Alla fine delle sue indagini, il pm monzese aveva chiesto e ottenuto l’ arresto sia di Rossi che di Pizzato per associazione a delinquere finalizzata alla falsa fatturazione e alla frode fiscale. L’ accusa riguardava la documentazione fittizia che i due avrebbero compilato per attestare la compravendita e l’ esportazione di decine di chili d’ oro, merce di cui Rossi si occupa da quasi due anni come titolare dell’ oreficeria “St. Andre’ ” di Milano (societa’ che lavora l’ oro a Luogosano, in provincia di Avellino). I due erano percio’ finiti in carcere, sperando che il castello di accuse crollasse dopo gli interrogatori. Errore. Perche’ i fatti contestati dal pm monzese hanno trovato conferma nell’ inchiesta del collega di Ariano Irpino, che da oltre un anno stava seguendo praticamente lo stesso filone d’ indagine e che adesso, nelle sue ipotesi d’ accusa, si spinge fino all’ associazione finalizzata al riciclaggio di denaro sporco. In un comunicato stampa diffuso ieri dal comando di gruppo della Guardia di Finanza di Avellino si parla in dettaglio della nuova ordinanza di custodia notificata in carcere a Rossi e Pizzato. Risulterebbe, com’ era gia’ noto dall’ inchiesta monzese, che 46 miliardi di lingotti d’ oro (ben 2.323 chili) avrebbero passato il confine italiano solo sulla carta e, inoltre, che l’ associazione a cui farebbe capo Rossi avrebbe evaso tributi per 120 miliardi con false esportazioni di congegni ad alta tecnologia. Il terzo uomo ricercato e’ il trasportatore dei lingotti, un personaggio abituato a muoversi su furgoni blindati. Sul trasferimento di fondi verso paradisi fiscali come il Liechtenstein, i finanzieri sostengono che “l’ articolazione dell’ organizzazione” era tale da far intuire che l’ obiettivo fosse anche anche il riciclaggio di denaro sporco.
E da Milano nuova incriminazione. Smaltimento clandestino di veleni
MILANO . Petrolio dai rifiuti tossici? Macche’ , le 58 mila tonnellate di liquami industriali accumulate dalla Petrol Dragon nelle cisterne dell’ ex raffineria Omar di Lacchiarella erano e restano un cocktail di veleni assolutamente non riciclabile. Andrea Rossi, rappresentante legale dell’ azienda, e il liquidatore Alessandro Reale sono stati incriminati dalla Procura circondariale di Milano per stoccaggio e smaltimento abusivo di rifiuti tossico nocivi. La Regione ha gia’ deciso di costituirsi parte civile, anche per ottenere i 50 60 miliardi necessari alla bonifica. L’ inchiesta era stata avviata il 14 dicembre ‘ 93 dopo il sequestro, da parte del Corpo forestale dello Stato, di un’ autocisterna proveniente dal deposito Petrol Dragon di Piossasco (Torino), sorpresa a scaricare nei serbatoi di Lacchiarella 10 tonnellate di liquami con altissime percentuali di Pcb (policlorobifenile), una sostanza tossica e sospetta cancerogena.Fasano Giusi
MILANO . Petrolio dai rifiuti tossici? Macche’ , le 58 mila tonnellate di liquami industriali accumulate dalla Petrol Dragon nelle cisterne dell’ ex raffineria Omar di Lacchiarella erano e restano un cocktail di veleni assolutamente non riciclabile. Andrea Rossi, rappresentante legale dell’ azienda, e il liquidatore Alessandro Reale sono stati incriminati dalla Procura circondariale di Milano per stoccaggio e smaltimento abusivo di rifiuti tossico nocivi. La Regione ha gia’ deciso di costituirsi parte civile, anche per ottenere i 50 60 miliardi necessari alla bonifica. L’ inchiesta era stata avviata il 14 dicembre ‘ 93 dopo il sequestro, da parte del Corpo forestale dello Stato, di un’ autocisterna proveniente dal deposito Petrol Dragon di Piossasco (Torino), sorpresa a scaricare nei serbatoi di Lacchiarella 10 tonnellate di liquami con altissime percentuali di Pcb (policlorobifenile), una sostanza tossica e sospetta cancerogena.
FASANO GIUSI
————————————————————————————
RISPOSTA DI ANDREA ROSSI:
COMMENTO ALL’ARTICOLO DE “IL CORRIERE DELLA SERA” DEL 6 APRILE 1995
Per questo articolo la risposta viene rilasciata direttamente dall’Ing Andrea Rossi
“Questo Articolo del Corriere della Sera si riferisce alla pietra miliare che ha determinato poi il fallimento di tutto il gruppo industriale di Andrea Rossi, il cui nucleo era costituito dalla OMAR-Petroldragon.
Come già e’ visto in altri articoli dei quotidiani dell’epoca, la ‘banda delle bonifiche’ non era mai riuscita mai a vincere contro il sottoscritto finchè mi era possibile difendermi; sono infatti sempre riuscito, con battaglie legali inenarrabili, a farmi puntualmente dissequestrare gli impianti bloccati dalla pubblica autorità, riuscendo, così, a mantenere in piedi l’attività lavorativa.
Come se il fine ultimo fosse quello di togliermi di mezzo e di impedirmi, così, di agire efficacemente in mia difesa, vengono lanciate tutte le accuse riportate da questo articolo di giornale.
La St.Andrè era un’azienda che si occupava di preziosi, creata da me al fine di recuperare e commercializzare l’argento e l’oro che venivano recuperati dai miei impianti in seguito ai processi di lavorazione di materiali quali gli scarti di pellicole e gli scarti elettronici.
Era infatti molto più conveniente, da un punto di vista imprenditoriale, commercializzare direttamente in gioielli piuttosto che vendere i metalli grezzi che avanzavano dai processi di produzione.
Con queste finalità era nata la St.Andrè e, in poco tempo, si era talmente sviluppata da potersi permettere una continuativa e redditizia attività di commercializzazione di oro e preziosi in tutto il mondo.
Pizzato era un fornitore di metalli preziosi, di cui la St.Andrè si avvaleva nella propria attività di lavorazione ed esportazione dei preziosi.
La mattina del 23 marzo, alle 4 del mattino la Guardia di Finanza arrestò il sottoscritto e  Pizzato ipotizzando che tutto il traffico di materiali tra la mia azienda e Pizzato, fosse fasullo.
Intervenirono immediatamente, come facilmente intuibile, tutti i giornali e le televisioni che già precedentemente si erano con tanto “zelo” occupate della mia persona e delle mie aziende; lo fecero, chiaramente, col lo stesso “zelo” e lo stesso allarmismo che avevano già contraddistinto tutti gli articoli scritti e cha avrebbero contraddistinto anche tutti quelli futuri.
Venni messo in prigione e, come se non bastasse, addirittura in isolamento. Da quella cella non potevo fare altro che assistere, imparando quanto accadeva dalla televisione, allo sfacelo delle mie attività ed alla denigrazione del mio nome.
Ora non potevo fare assolutamente nulla per difendermi e per cercare di rimediare ad una situazione che, giorno dopo giorno, portava il gruppo Omar-Petroldragon, impossibilitato a continuare la propria necessaria attività lavorativa, alla rovina economica.
Nel corso della mia attività lavorativa, al fine di realizzare e potenziare gli impianti di produzione, gli investimenti fatti erano sempre stati ingenti ed importanti e, comprensibilmente, l’esposizione presso le banche era molto alta. Tutto il mio patrimonio personale e di famiglia, era da sempre stato messo a garanzia dei fidi e dei prestiti necessari a costruire, nel tempo, un gruppo industriale importante come quello della Omar-Petroldragon.
Provate ad immaginare cosa  accadde visto che il titolare del gruppo, il sottoscritto, era in galera e quindi impossibilitato a difendersi, a spiegare, a recarsi presso le banche; è facile intuirlo: i clienti ne approfittarono per non pagare le fatture dei prodotti acquistati, le banche chiesero l’immediato rientro di tutti i fidi e di tutti i prestiti e cominciarono a rifarsi sul capitale mobiliare ed immobiliare delle aziende nonché sulle garanzie.
Tutto questo aggravato dal clima di terrore messo in piazza da coloro che sarebbero poi diventati i  “bonificatori” ed i “risolutori” della “tragica” situazione ambientale lasciata dal gruppo industriale, confortati dal valido aiuto dei media.
Ed ecco il gridare al “.. delinqunte Rossi…”, “… un pericolo pubblico…”, “… serbatoi pieni di veleni…” , “disastro ambientale…”.
Tutto questo clima portò in brevissimo tempo al sequestro ed alle confisca di tutti gli impianti e di tutto il materiale che fino a poco prima era regolare oggetto di transazioni commerciali, e che all’improvviso era diventato “rifiuto tossico” e “veleno”.
Io ero in carcere e non potevo difendermi, come ero invece riuscito a fare fino ad allora, e ci restai per ben 4 anni.
L’attacco venne portato dalle Procure di Milano, sede legale e commerciale della St.Andrè-Oreficeria Italiana, e di Ariano Irpino, in provincia di Avellino, dove la St.Andrè aveva lo stabilimento e 40 dipendenti assunti.
All’inizio del processo il Magistrato inquirente si era vantato di aver raccolto contro Andrea Rossi 120.000 pagine di atti, ed aveva annunciato alla pubblica piazza richieste di pene severissime, nell’ordine dei 20 anni di galera. Evidentemente le sue erano 120.000 pagine di argomenti poco consistenti, visto che il Giudice già in Primo Grado assolse me e Pizzato da tutti i reati per i quali eravamo stati arrestati ed incarcerati e chiese solo pochi mesi di condanna per semplici irregolarità contabili, condanna poi completamente annullata in sede di Appello.
Ed i documenti di vendita dell’oro ritenuti irregolari? Tutti regolari! I documenti di importazione ed esportazione dei preziosi? Tutti regolari! I pagamenti in contanti? Il riciclaggio di denaro sporco? Nessuna traccia di irregolarità, anche perché tutte le transazioni economiche erano eseguite con bonifici ed assegni non trasferibili, mai in contanti!
La procura di Ariano Irpino, addirittura, prosciolse il sottoscritto e tutti i coimputati in istruttoria, senza neppure arrivare al processo con la motivazione che: “…mancano le prove necessarie per potere sostenere le accuse in un processo…”.
Ovviamente tutte le assoluzioni sono arrivate quando ormai la grande “mangiatoia” delle bonifiche era già arrivata a conclusione e dopo che le mie aziende erano definitivamente fallite.
Ho dovuto così subire anche tutti i successivi processi derivanti dalla loro bancarotta (da me, come penso sia ovvio, né voluta né provocata).
Il vero obiettivo di tutta questa vicenda, potrebbe quasi sembrare non quello di condannarmi per le irregolarità legate alla gestione dell’oreficeria di cui ero titolare, bensì il togliermi di mezzo e rendermi inoffensivo rinchiudendomi in una prigione, per poter così attuare la grande “mangiata delle bonifiche” e per potersi sbarazzare di un pericoloso concorrente che, svolgendo la propria attività, riusciva a rendere appetibile alle industrie italiane l’affidare al mio gruppo gli scarti di produzione delle proprie attività, togliendoli così dalla disponibilità di coloro che avrebbero al mio posto voluto impossessarsene al fine di attuare un diverso sistema di “trattamento” dei rifiuti speciali.
Ricordo che le bonifiche effettuate sulle sostanze contenute nei serbatoi di Omar e di Petroldragon, sostanze che fino alla chiusura dell’attività produttiva del gruppo erano fonte di commercializzazione e di guadagno, non “rifiuti” da smaltire, sono costate dalle 3 alle 4 volte in più rispetto al prezzo di mercato.
Non voglio in nessun modo accusare magistrati, giornalisti o Pubblici Ufficiali di “accordi segreti” con i cosiddetti “bonificatori” o con organizzazioni criminali, ci mancherebbe; dico solo che a tutti gli effetti, le conseguenze di quanto  accaduto e di quanto è stato fatto, sono quelle precedentemente descritte.
In aggiunta a quanto già detto, mi permetto di rispondere anche ad un altro punto esposto dal giornalista che ha scritto questo articolo: tra le righe si legge l’accusa alla Petroldragon di “essere stata sorpresa” a scaricare delle sostanze all’interno dei serbatoi della Omar. Ma dove altro avrebbe dovuto trasportare tali sostanze se non alla raffineria Omar per farle distillare? Questa operazione di carico e scarico era cosa che avveniva regolarmente e sotto lo stretto controllo della Guardia di Finanza. La simbiosi tra le due aziende avveniva proprio con l’operazione di raffinazione da parte della Omar dei semilavorati della Petroldragon ed il tutto avveniva con continui e monitorati trasporti di prodotti tra le due strutture.
Ultima cosa non vera: il PCP era assente e non era mai stato trattato dagli stabilimenti della Petroldragon.”
ANDREA ROSSI

Link all’articolo presso il sito de “Il Corriere della Sera”

RTICOLO ORIGINALE:

Corriere della Sera – 06 aprile 1995 —   pagina 49

Manette bis per Andrea Rossi

La Procura di Ariano Irpino accusa l’ inventore del ” refluo petrolio ” di riciclaggio di denaro sporco. Ricercato il corriere della banda che avrebbe trasferito con furgoni blindati oltre 2 tonnellate d’ oro

MONZA. Se finora ha creduto di essere nei guai si e’ sbagliato. Andrea Rossi, inventore del chiacchierato procedimento per trasformare in petrolio la spazzatura e i rifiuti industriali, e’ molto piu’ che in semplici guai. Di tutte le “tegole” che gli sono piovute addosso finora, la piu’ pesante e’ arrivata ieri dalla Procura di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. Il giudice delle indagini preliminari Vincenzo Caputo ha emesso, su richiesta del sostituto Rosario Baglioni, un’ ordinanza di custodia cautelare contro di lui per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di capitali di illecita provenienza e alla frode fiscale. La presunta organizzazione a delinquere sarebbe formata, oltre che dall’ ideatore del “refluo petrolio” e da una persona per ora irreperibile, anche da Michele Pizzato, italiano con residenza in Svizzera, uomo di fiducia di Andrea Rossi e, negli ultimi tempi, suo compagno di “sventura”. Una sventura cominciata un paio di settimane fa con le conclusioni di una inchiesta condotta dal sostituto procuratore monzese Salvatore Bellomo. Alla fine delle sue indagini, il pm monzese aveva chiesto e ottenuto l’ arresto sia di Rossi che di Pizzato per associazione a delinquere finalizzata alla falsa fatturazione e alla frode fiscale. L’ accusa riguardava la documentazione fittizia che i due avrebbero compilato per attestare la compravendita e l’ esportazione di decine di chili d’ oro, merce di cui Rossi si occupa da quasi due anni come titolare dell’ oreficeria “St. Andre’ ” di Milano (societa’ che lavora l’ oro a Luogosano, in provincia di Avellino). I due erano percio’ finiti in carcere, sperando che il castello di accuse crollasse dopo gli interrogatori. Errore. Perche’ i fatti contestati dal pm monzese hanno trovato conferma nell’ inchiesta del collega di Ariano Irpino, che da oltre un anno stava seguendo praticamente lo stesso filone d’ indagine e che adesso, nelle sue ipotesi d’ accusa, si spinge fino all’ associazione finalizzata al riciclaggio di denaro sporco. In un comunicato stampa diffuso ieri dal comando di gruppo della Guardia di Finanza di Avellino si parla in dettaglio della nuova ordinanza di custodia notificata in carcere a Rossi e Pizzato. Risulterebbe, com’ era gia’ noto dall’ inchiesta monzese, che 46 miliardi di lingotti d’ oro (ben 2.323 chili) avrebbero passato il confine italiano solo sulla carta e, inoltre, che l’ associazione a cui farebbe capo Rossi avrebbe evaso tributi per 120 miliardi con false esportazioni di congegni ad alta tecnologia. Il terzo uomo ricercato e’ il trasportatore dei lingotti, un personaggio abituato a muoversi su furgoni blindati. Sul trasferimento di fondi verso paradisi fiscali come il Liechtenstein, i finanzieri sostengono che “l’ articolazione dell’ organizzazione” era tale da far intuire che l’ obiettivo fosse anche anche il riciclaggio di denaro sporco.

E da Milano nuova incriminazione. Smaltimento clandestino di veleni

MILANO . Petrolio dai rifiuti tossici? Macche’ , le 58 mila tonnellate di liquami industriali accumulate dalla Petrol Dragon nelle cisterne dell’ ex raffineria Omar di Lacchiarella erano e restano un cocktail di veleni assolutamente non riciclabile. Andrea Rossi, rappresentante legale dell’ azienda, e il liquidatore Alessandro Reale sono stati incriminati dalla Procura circondariale di Milano per stoccaggio e smaltimento abusivo di rifiuti tossico nocivi. La Regione ha gia’ deciso di costituirsi parte civile, anche per ottenere i 50 60 miliardi necessari alla bonifica. L’ inchiesta era stata avviata il 14 dicembre ‘ 93 dopo il sequestro, da parte del Corpo forestale dello Stato, di un’ autocisterna proveniente dal deposito Petrol Dragon di Piossasco (Torino), sorpresa a scaricare nei serbatoi di Lacchiarella 10 tonnellate di liquami con altissime percentuali di Pcb (policlorobifenile), una sostanza tossica e sospetta cancerogena.Fasano Giusi

MILANO . Petrolio dai rifiuti tossici? Macche’ , le 58 mila tonnellate di liquami industriali accumulate dalla Petrol Dragon nelle cisterne dell’ ex raffineria Omar di Lacchiarella erano e restano un cocktail di veleni assolutamente non riciclabile. Andrea Rossi, rappresentante legale dell’ azienda, e il liquidatore Alessandro Reale sono stati incriminati dalla Procura circondariale di Milano per stoccaggio e smaltimento abusivo di rifiuti tossico nocivi. La Regione ha gia’ deciso di costituirsi parte civile, anche per ottenere i 50 60 miliardi necessari alla bonifica. L’ inchiesta era stata avviata il 14 dicembre ‘ 93 dopo il sequestro, da parte del Corpo forestale dello Stato, di un’ autocisterna proveniente dal deposito Petrol Dragon di Piossasco (Torino), sorpresa a scaricare nei serbatoi di Lacchiarella 10 tonnellate di liquami con altissime percentuali di Pcb (policlorobifenile), una sostanza tossica e sospetta cancerogena.

FASANO GIUSI

————————————————————————————

RISPOSTA DI ANDREA ROSSI:

COMMENTO ALL’ARTICOLO DE “IL CORRIERE DELLA SERA” DEL 6 APRILE 1995

Per questo articolo la risposta viene rilasciata direttamente dall’Ing Andrea Rossi

“Questo Articolo del Corriere della Sera si riferisce alla pietra miliare che ha determinato poi il fallimento di tutto il gruppo industriale di Andrea Rossi, il cui nucleo era costituito dalla OMAR-Petroldragon.

Come già e’ visto in altri articoli dei quotidiani dell’epoca, la ‘banda delle bonifiche’ non era mai riuscita mai a vincere contro il sottoscritto finchè mi era possibile difendermi; sono infatti sempre riuscito, con battaglie legali inenarrabili, a farmi puntualmente dissequestrare gli impianti bloccati dalla pubblica autorità, riuscendo, così, a mantenere in piedi l’attività lavorativa.

Come se il fine ultimo fosse quello di togliermi di mezzo e di impedirmi, così, di agire efficacemente in mia difesa, vengono lanciate tutte le accuse riportate da questo articolo di giornale.

La St.Andrè era un’azienda che si occupava di preziosi, creata da me al fine di recuperare e commercializzare l’argento e l’oro che venivano recuperati dai miei impianti in seguito ai processi di lavorazione di materiali quali gli scarti di pellicole e gli scarti elettronici.

Era infatti molto più conveniente, da un punto di vista imprenditoriale, commercializzare direttamente in gioielli piuttosto che vendere i metalli grezzi che avanzavano dai processi di produzione.

Con queste finalità era nata la St.Andrè e, in poco tempo, si era talmente sviluppata da potersi permettere una continuativa e redditizia attività di commercializzazione di oro e preziosi in tutto il mondo.

Pizzato era un fornitore di metalli preziosi, di cui la St.Andrè si avvaleva nella propria attività di lavorazione ed esportazione dei preziosi.

La mattina del 23 marzo, alle 4 del mattino la Guardia di Finanza arrestò il sottoscritto e  Pizzato ipotizzando che tutto il traffico di materiali tra la mia azienda e Pizzato, fosse fasullo.

Intervenirono immediatamente, come facilmente intuibile, tutti i giornali e le televisioni che già precedentemente si erano con tanto “zelo” occupate della mia persona e delle mie aziende; lo fecero, chiaramente, col lo stesso “zelo” e lo stesso allarmismo che avevano già contraddistinto tutti gli articoli scritti e cha avrebbero contraddistinto anche tutti quelli futuri.

Venni messo in prigione e, come se non bastasse, addirittura in isolamento. Da quella cella non potevo fare altro che assistere, imparando quanto accadeva dalla televisione, allo sfacelo delle mie attività ed alla denigrazione del mio nome.

Ora non potevo fare assolutamente nulla per difendermi e per cercare di rimediare ad una situazione che, giorno dopo giorno, portava il gruppo Omar-Petroldragon, impossibilitato a continuare la propria necessaria attività lavorativa, alla rovina economica.

Nel corso della mia attività lavorativa, al fine di realizzare e potenziare gli impianti di produzione, gli investimenti fatti erano sempre stati ingenti ed importanti e, comprensibilmente, l’esposizione presso le banche era molto alta. Tutto il mio patrimonio personale e di famiglia, era da sempre stato messo a garanzia dei fidi e dei prestiti necessari a costruire, nel tempo, un gruppo industriale importante come quello della Omar-Petroldragon.

Provate ad immaginare cosa  accadde visto che il titolare del gruppo, il sottoscritto, era in galera e quindi impossibilitato a difendersi, a spiegare, a recarsi presso le banche; è facile intuirlo: i clienti ne approfittarono per non pagare le fatture dei prodotti acquistati, le banche chiesero l’immediato rientro di tutti i fidi e di tutti i prestiti e cominciarono a rifarsi sul capitale mobiliare ed immobiliare delle aziende nonché sulle garanzie.

Tutto questo aggravato dal clima di terrore messo in piazza da coloro che sarebbero poi diventati i  “bonificatori” ed i “risolutori” della “tragica” situazione ambientale lasciata dal gruppo industriale, confortati dal valido aiuto dei media.

Ed ecco il gridare al “.. delinqunte Rossi…”, “… un pericolo pubblico…”, “… serbatoi pieni di veleni…” , “disastro ambientale…”.

Tutto questo clima portò in brevissimo tempo al sequestro ed alle confisca di tutti gli impianti e di tutto il materiale che fino a poco prima era regolare oggetto di transazioni commerciali, e che all’improvviso era diventato “rifiuto tossico” e “veleno”.

Io ero in carcere e non potevo difendermi, come ero invece riuscito a fare fino ad allora, e ci restai per ben 4 anni.

L’attacco venne portato dalle Procure di Milano, sede legale e commerciale della St.Andrè-Oreficeria Italiana, e di Ariano Irpino, in provincia di Avellino, dove la St.Andrè aveva lo stabilimento e 40 dipendenti assunti.

All’inizio del processo il Magistrato inquirente si era vantato di aver raccolto contro Andrea Rossi 120.000 pagine di atti, ed aveva annunciato alla pubblica piazza richieste di pene severissime, nell’ordine dei 20 anni di galera. Evidentemente le sue erano 120.000 pagine di argomenti poco consistenti, visto che il Giudice già in Primo Grado assolse me e Pizzato da tutti i reati per i quali eravamo stati arrestati ed incarcerati e chiese solo pochi mesi di condanna per semplici irregolarità contabili, condanna poi completamente annullata in sede di Appello.

Ed i documenti di vendita dell’oro ritenuti irregolari? Tutti regolari! I documenti di importazione ed esportazione dei preziosi? Tutti regolari! I pagamenti in contanti? Il riciclaggio di denaro sporco? Nessuna traccia di irregolarità, anche perché tutte le transazioni economiche erano eseguite con bonifici ed assegni non trasferibili, mai in contanti!

La procura di Ariano Irpino, addirittura, prosciolse il sottoscritto e tutti i coimputati in istruttoria, senza neppure arrivare al processo con la motivazione che: “…mancano le prove necessarie per potere sostenere le accuse in un processo…”.

Ovviamente tutte le assoluzioni sono arrivate quando ormai la grande “mangiatoia” delle bonifiche era già arrivata a conclusione e dopo che le mie aziende erano definitivamente fallite.

Ho dovuto così subire anche tutti i successivi processi derivanti dalla loro bancarotta (da me, come penso sia ovvio, né voluta né provocata).

Il vero obiettivo di tutta questa vicenda, potrebbe quasi sembrare non quello di condannarmi per le irregolarità legate alla gestione dell’oreficeria di cui ero titolare, bensì il togliermi di mezzo e rendermi inoffensivo rinchiudendomi in una prigione, per poter così attuare la grande “mangiata delle bonifiche” e per potersi sbarazzare di un pericoloso concorrente che, svolgendo la propria attività, riusciva a rendere appetibile alle industrie italiane l’affidare al mio gruppo gli scarti di produzione delle proprie attività, togliendoli così dalla disponibilità di coloro che avrebbero al mio posto voluto impossessarsene al fine di attuare un diverso sistema di “trattamento” dei rifiuti speciali.

Ricordo che le bonifiche effettuate sulle sostanze contenute nei serbatoi di Omar e di Petroldragon, sostanze che fino alla chiusura dell’attività produttiva del gruppo erano fonte di commercializzazione e di guadagno, non “rifiuti” da smaltire, sono costate dalle 3 alle 4 volte in più rispetto al prezzo di mercato.

Non voglio in nessun modo accusare magistrati, giornalisti o Pubblici Ufficiali di “accordi segreti” con i cosiddetti “bonificatori” o con organizzazioni criminali, ci mancherebbe; dico solo che a tutti gli effetti, le conseguenze di quanto  accaduto e di quanto è stato fatto, sono quelle precedentemente descritte.

In aggiunta a quanto già detto, mi permetto di rispondere anche ad un altro punto esposto dal giornalista che ha scritto questo articolo: tra le righe si legge l’accusa alla Petroldragon di “essere stata sorpresa” a scaricare delle sostanze all’interno dei serbatoi della Omar. Ma dove altro avrebbe dovuto trasportare tali sostanze se non alla raffineria Omar per farle distillare? Questa operazione di carico e scarico era cosa che avveniva regolarmente e sotto lo stretto controllo della Guardia di Finanza. La simbiosi tra le due aziende avveniva proprio con l’operazione di raffinazione da parte della Omar dei semilavorati della Petroldragon ed il tutto avveniva con continui e monitorati trasporti di prodotti tra le due strutture.

Ultima cosa non vera: il PCP era assente e non era mai stato trattato dagli stabilimenti della Petroldragon.”

ANDREA ROSSI